“Te la regalo io la macchina da cucire. A patto che tu la faccia fruttare”.
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Mio padre mi ha sempre incentivata a sognare in grande, a puntare al massimo in ogni cosa che facessi. “Se devi fare qualcosa, vedi di farla bene” mi diceva.
Era un uomo ambizioso ed esigente. Per lui non esistevano mezze misure, così come non era contemplato lasciare un problema insoluto, un progetto a metà.
Nel 2013 avevo 20 anni, un lavoretto part time, nessuna voglia di fare l’università e il bagaglio di sogni e incertezze tipico di una ragazzina multipotenziale. Mio padre mi aveva sempre esortata verso lo studio, pilastro imprescindibile per la formazione personale di ogni individuo, a detta sua. Non c’era futuro per la mia persona senza un qualche tipo di istruzione accademica.
Io avevo tanti interessi. Mi ero sempre appassionata a molte attività diverse, più di quante ne riuscissi a gestire, in effetti. E per quanto, ai più, possa sembrare un enorme vantaggio, l’avere troppe scelte mi aveva portata a non riuscire a scegliere affatto. Ero in stallo. Lavoravo come cameriera solo nel weekend, oscillando, nei restanti giorni della settimana, tra il disegno, lo sport e il teatro. Ero innamorata della possibilità di indossare le vesti di altri personaggi, immedesimandomi nella loro vita e viverne le vicende. Non mi sentivo portata per lo studio scolastico, ma sentivo di voler imparare qualcosa, qualcosa di più. Percepivo il bisogno di conquistare una nuova forma di espressione, che potesse aiutarmi a trovare una mia strada nel mondo.
L’infanzia scandita dal suono della macchina da cucire di famiglia
Sono cresciuta con la macchina per cucire dentro casa. Mi rendo conto che per molti possa sembrare uno strumento strano, esotico, lontano dalla quotidianità. Per me, invece, che l’avevo vissuta fin da bambina, sarebbe stato strano non trovarla al suo posto, nell’angolo dello studio. Era la macchina da cucire di mia madre e di mia nonna prima di lei, una Necchi che ancora conserviamo, nonostante i suoi 50 anni e più. L’avevo sempre usata di nascosto, misticamente attratta da quello strumento strano e affascinante con cui mia madre era sempre stata capace di creare i vestiti più belli che una bambina avesse mai potuto desiderare. Ero talmente orgogliosa d’indossare ciò che la mia mamma aveva cucito per me, da crescere con la chiara idea di “volere, da grande, cucire i vestiti ai miei figli, come mamma fa con me”.
A sedici anni disegnai un abito da sera per un’occasione speciale, e mia madre lo realizzò per me. A lavoro finito, mio padre ci fece i complimenti, entusiasta. “Perchè non vi mettete in società? Tu disegni i modelli e mamma li realizza, guarda che bella cosa che avete fatto!” Lui non era mai stato un tipo particolarmente creativo e forse proprio per questo aveva sempre incentivato al massimo ogni nostra forma di creatività. Io lo presi come uno scherzo, scansando l’idea con superficialità. Ma lui, come sempre, ci aveva visto lungo.
L’emozione di acquistare la mia prima macchina per cucire
Quando ho iniziato il corso da modellista, sapevo che avrei avuto bisogno di acquistare una macchina da cucire che fosse mia. Non potevo continuare a pasticciare con la nostra vecchia Necchi, ormai zoppicante. Avevo messo i soldi da parte per acquistare una macchina da cucire economica, adatta al mio piccolo budget. Volevo comprarla da me, conquistare quell’obbiettivo con le mie forze, senza dover pesare sui miei genitori più di quanto non sentissi di stare già facendo. Come per ogni decisione e acquisto importante, chiesi consiglio a mio padre. Non potendo accompagnarmi lui personalmente, venne mia madre per lui. Andammo a Fondi, nel negozio di Marco, a cui tutti, tra cui anche l’insegnante del corso che stavo frequentando, mi avevano sempre consigliato di rivolgermi.
Ero affascinata dalla quantità e dalla varietà di macchine che avevo davanti. Sapevo di non poter puntare a niente che non fosse una macchina da cucire base. Spiegai le mie esigenze a Marco che mi seppe consigliare una macchina estremamente semplice, non eccessivamente accessoriata. Una macchina compatta, resistente, senza fronzoli, che potesse accompagnarmi nella mia nuova avventura e durare negli anni. Non servivano ulteriori parole, ormai l’avevo scelta.
Peccato solo per il prezzo. Non eccessivo per quel tipo di macchina, ma fuori dal mio budget. Davanti ai miei improvvisi dubbi, mia madre mi rassicurò: “Non preoccuparti, questa te la regala papà”.
Sono passati 8 anni.
Mio padre non c’è più, ma la macchina che mi ha regalato quel giorno è sempre sulla mia scrivania.
Ho cambiato mille volte idea sul mio futuro. Mi sono laureata, ma ho anche conseguito quel diploma come sarta e modellista. Il cucito ho scoperto essere la perfetta forma di espressione, una passione enorme che non mi abbandona.
I prime esperienze e i primi lavori con la macchina da cucire
Oggi cerco di farne un lavoro. Realizzo abiti su commissione, replicando per gli appassionati costumi storici e gli abiti delle serie tv.
Ho aperto anche un canale YouTube in cui mostro alcune fasi della confezione storica, mentre sui social ho una vetrina dei lavori che realizzo. Continuo a disegnare i vestiti per me e per chi si rivolge alla mia attività, occupandomi per intero di tutta la fase di produzione.
E cerco di mantenere viva la promessa fatta quel giorno, quando mio padre mi vide rientrare a casa, raggiante, con la mia nuova macchina tra le braccia.
“Questa te la regalo io. A patto che tu la faccia fruttare”.
Francesca Trapani – L’Apprendista sugli Spilli